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LO PSICOLOGO DELLO SPORT RISPONDE

SEI UNO SPORTIVO, UN GENITORE O UN FAN, UN ALLENATORE O UN COACH E HAI UNA DOMANDA, UN DUBBIO UNA CURIOSITA' ?

SE VUOI INVIARCI LA TUA DOMANDA, SCRIVICI A:

psicosport@apbps.it

Vedrai la tua domanda con la risposta pubblicata qui entro 5 giorni lavorativi




DOMANDA

Buonasera, sono la mamma di un bambino di 11 anni. Gioca a basket da 5 anni ma sin da piccolo ha sempre avuto una forte ansia da prestazione. Fisicamente e sportivamente ha delle gosse potenzialità , nel senso che è un bimbo moltp diligente, ascolta, sa stare in gruppo e ha un forte senso di collaborazione ed è alto,ma non eccelle mai perché non è ambizioso e a volte ha poca autostima. Cosa che per esempio non accade a scuola, dove affronta le situazioni con una determinazione del tutto diversa. Quest'anno ha scelto di cambiare società, lo abbiamo assecondato perché voleva avere l'opportunità di andare in una squadra più competitiva, scelta sua, pensavo avesse voglia di cambiare atteggiamento, invece Inizialmente aveva avuto una trasformazione positiva adesso a distanza di qualche mese è andato in crisi totale, piange prima delle partite, in campo è visibilmente confuso, soffre di ansia e io non so più come aiutarlo. Il suo coach è molto esigente, è poco empatico è uno di quelli che vuole vincere, e mio figlio dice che a lui questa cosa gli sta facendo passare il piacere di fare sport, lo vive come un obbligo. Io nonnso piu come comportarmi, ho il timore di assecondarlo perché forse è un problema che deve affrontare per acquisire sicirezza in se stesso o non è l'ambiente giusto per lui e devo trovare una soluzione alternativa? Sono davvero molto combattuta perché questa larte della sua vita dovrebbe essere quella piu leggera e piacevole, invece sta diventando un grosso problema.

Buonasera Signora,

                                nella Sua domanda mi sembra di trovare la giusta preoccupazione per due ordini di motivi: il benessere di Suo figlio e la preoccupazione di potergli stare accanto nella crescita nel modo migliore possibile. Dagli elementi che posso raccogliere da una e-mail, mi sento di poterLe restituire come spunto, l'importanza della fase evolutiva che sta attraversando Suo figlio in cui, tra le altre, che andrebbero prese in consideraizone nello specifico, quella di poter trovare modelli a cui ispirarsi. La Sua sensazione di "voglia di cambiare atteggiamento" credo possa essere plausibile, sarebbe da riuscire a comprendere meglio se e in che misura nello specifico per Suo figlio e questo è possibile non solo chiedendolo a luki, ma anche riuscendo a cogliere quello che per i bambini ( anche per i ragazzi e talvolta anche per noi adulti) non sempre è possibile sapere/conidividere. L'ansia di cui mi parLa mi può dare dei suggerimenti e indicare direzioni, ma la cosa migliore è sempre quella di centrarsi sul caso singolo per essere puntuali ed efficaci evitando poi, per esmepio confusione o rabbia. Approfondirei meglio sul perchè gli sembra di dover assolvere ad un obbligo, quali sono le dinamiche di gruppo... rispetto la piacevolezza dello sport se lo condivide con me, io Le posso dire di essere d'accordo, non so però se è così anche per Suo figlio, in questo momento almeno e in che misura altro punto che credo sarebbe importante approfondire. Spero di esserLe stato utile, se avesse bisogno mi faccia sapere. Cordialità

dr. Richard Eugen Unterrichter 

DOMANDA

Salve, sono la madre di un bambino di 10 che da 4 gioca a basket amando questo sport e scegliendo da piccolo sempre lo stesso Coach che anche io ho sempre stimato e abbiamo fatto salti mortali per seguirlo. Detto ciò mio figlio è sempre stato portato e seppur piccoletto in gamba ed era sempre osannato tra tutti per essere tra i più bravi seppur piccino di statura. Crescendo è rimasto piccino e la squadra del " suo coach" è cresciuta portando tutti ad ottimi risultati e vincendo parite ...le prime come " aquilotti" categoria non classificabile prima di quella degli esordienti di cui mio figlio insieme a quella degli acquilotti fa parte almeno come anno di nascita... sono stata di sicuro troppo presente nelle ultime decisioni chiedendo perchè...come mai...mio figlio non giocasse non essendo convocato in occasioni importanti come esordiente pur rispettando le scelte del coach che chiaramente per partite importanti predilige i più alti e forti...ci sta...ma mio figlio non è tra I peggiori e non lo dico da madre soltanto e non lo dico soltanto io Detto ciò nell' ultima non convocazione ho sbagliato sicuramente chiedendo scusa al coach perchè mi sono sentita troppo ferita per mio figlio che so che seppur rispetta il coach resta male per le sue scelte e mi riportava che sentiva che non lo apprezzasse abbastanza...io lo incoraggiavo a non credere questo...ma i fatti però mio allontanano dal credere diversamente...nel.mion" sbaglio" di aver contattato il coach che mi ha sintetizzato dicendo " che sono decisioni sue e se non sta bene posso cambiare" non comprendo perchè volendo bene a mio figlio...almeno cosi credevo...perchè non gli parli lui! Mio figlio non ha il coraggio di chiedere o ne ha timore...ma si dispiace perchè ne parla con me e io ci soffro davvero... mi andava bene anche aver chiesto scusa e aver fatto un passo indietro ...ma poi dopo questo accaduto...c' è stato il.primo raduno della federazione esordienti e lui non è stato convocato...neanche qui posso chiedere spiegazioni?

 

Buonasera Signora Grimaldi,

                                                   dalla Sua descrizione mi arriva un grande investimento affettivo di Suo figlio nei confronti del suo coach (forse ci sono motivi che forse Lei conosce o immagina).

Da quello che posso capire dalla e-mail il centro della Sua domanda sta nel fatto che le percezioni rispetto il ruolo di giocatore di Suo figlio ed il coach non sono proprio simmetriche (non so dire il motivo).

Mi sembra Lei sia stata molto centrata rispetto le segnalazioni in merito fatte presenti al coach anche riconoscendo uno “sconfinamento nei ruoli” involontario e in buona fede che però mi sembra possa sottolineare bene quanto sopra e cioè: la richiesta di “messa in parole”, da parte del coach di quello che sta accadendo: perché sta succedendo questa cosa? Domanda a cui sembra difficile dare risposta da parte del coach. Mi vengono in mente molte possibilità, motivi, ma non riuscirei a condividere con Lei altro che ipotesi e in quanto tali non Le sarei realmente utile mia e-mail perché rimarrebbero comunque sospese generando solo delle bias cognitive che non potrebbero generare altro che, almeno, maggiori perplessità.

Vorrei però farlo per quanto riguarda l’importanza di riuscire a definire per Suo figlio quello che sta succedendo per potergli dare un significato. Credo che potrebbe considerare come il punto centrale possa essere la difficoltà dell’allenatore a mettere in parola quello che forse sentite tutti voler dire. L’implicazione affettiva del “non essere fatto giocare di Suo figlio” nella squadra da parte del “suo” coach che ha seguito tanto e a cui, mi sembra di poter dire, è molto affezionato sembra essere il punto centrale. Forse potrebbe provare in qualche modo a verificare questa cosa e trovare il modo di permettere ad entrambi (il coach e Suo figlio) di potersi confrontare su questo terreno relazionale prima che sportivo? Mi permetto però di farLe presente che potrebbe essere piuttosto difficile, prima di tutto per il coach (non è facile per tutti mettere in parola i sentimenti) ed allora credo sarebbe utile riuscire a farlo in altro modo. Spero di essere riuscito a darLe degli spunti. Se avesse bisogno e pensa possa esserLe utile mi faccia sapere. Cordialità.

dr. Richard Eugen Unterrichter    

DOMANDA

Buongiorno, sono papà di un ragazzo fantastico che da sempre riesce a mettere impegno in tutto quello che fà. Il ragazzo gioca a basket da 7 anni e di anni ne ha 12. È riuscito a trascinare a giocare in questo sport la maggior parte di amici che andavano alle elementari con lui. Ha dovuto resistere a un fallimento societario e a cambiato squadra e con lui tutti i suoi compagni. Nella nuova società con i suoi compagni sono riusciti ad imporsi nel territorio come un ottima squadra. Poi nel tempo si è visto superare dagli stessi compagni di squadra che lui aveva trascinato in questo mondo, nella categoria degli under13 lui è finito in seconda squadra dopo anni che giocava in prima squadra. Ma abbiamo visto un costante miglioramento fisico e atletico dei suoi compagni in seconda squadra e lui non riesce più a imporsi come vorrebbe nel suo cuore. Da padre cerco di spronarlo nel miglior modo che io possa fare ma non riesco a capire come tirar fuori da noi diciamo la CAZZIMMA la grinta agonistica necessaria per voler fare di più. Lui segue la tattica di gioco in modo da allenamento senza che porti punti a casa gli altri si buttano dentro per far vincere a volte senza seguire regole di tattica. Cosa e come devo comportarmi per aiutarlo oltre a sostenerlo e non rischiare ad un abbandono allo sport che lui ha sempre voluto fare.

 

RISPOSTA

Gentile genitore,

registro “la cazzimma” , termine che non conoscevo ma che mi risuona molto efficace e ad hoc per esprimere il concetto della grinta sportiva, La ringrazio per la condivisione.  Rispetto a Suo figlio mi sembra che al centro della Sua preoccupazione possa esserci un possibile cambiamento di ruolo nel tempo di Suo figlio, da quello che mi sembra essere più di leader ad altro. E’ bello sentire che sia un padre che sostiene il figlio con tutte le buone intenzioni che trasuda la Sua domanda. Leggendo mi chiedevo come si possa trovare Suo figlio rispetto questo diverso status (il ruolo porta anche responsabilità, pesi…) in squadra. Mi chiedevo poi, rispetto il tema dell’abbandono sportivo, quale potrebbe essere secondo Lei alla base di una possibile scelta d’abbandono di Suo dello sport (questo sport?) e secondo Suo figlio? Coincidono? Questi primi punti mi sembra possano essere quelli da cui partire per poter rispondere alla Sua domanda. Mi permetto poi di condividere con Lei come l’aiuto di un padre, forse con una punta in più per i maschi in questa età che cercano esempi e si mettono alla prova rispetto ad alcuni temi fondamentali per la propria identità, sia non necessariamente l’ “aiuto attivo”: fare qualcosa, ma anche l’esserci come specchio, come esempio, come contenitore, come spettatore di successi e/o fallimenti. Mi rendo conto siano tante cose, ma sappiamo bene quanto sia vero il detto: “Il mestiere più difficile del mondo è quello del genitore” perché non c’è nulla che ci metta alla prova di più proprio per il sentimento che è in gioco: l’Amore per i propri figli. Spero di essere riuscita ad esserLe di aiuto per qualche spunto nel modo migliore possibile via e-mail. Cordialmente

dr. Richard Eugen Unterrichter

DOMANDA

Buonasera, sono papà di un bambino 7 anni che gioca a calcio da 3. Nonostante io abbia giocato a calcio per anni a livello dilettantistico, non l’ho mai condizionato nella scelta. Dopo 3 anni evidenzia qualche limite tecnico negli esercizi, ma questo ci sta; il problema è durante la partita. Sembra disinteressato, teme la palla tirata in alto, non fa un contrasto, non fa passaggi, tiri, la palla pare che scotti, calcio 2 minuti dopo il passaggio della palla. Abbiamo provato con “bastone e carota” a spronarlo, capirlo, ma non c’ è verso. Lui è molto determinato e non vuol sentir parlare di altri sport, vuole giocare a calcio. Cosa possiamo fare per “sbloccarlo”? A ns parere si divertirebbe mooooolto si più !!!! Grazie

 

RISPOSTA

Buonasera, da quello che scrive mi sento di poterLe dire che potrebbe esserci una grossa motivazione di Suo figlio a giocare a calcio di cui sembra importante comprendere (mi sembra essere anche la Sua richiesta) l’origine. Le motivazioni potrebbero essere diverse (Passione? Inclinazione? Condizioni che gli offre il gioco del calcio?...) e sembrano essere di origine “interna/di Suo figlio” per cui condivido con Lei l’utilità che percepisce, mi sembra in modo implicito, di poter, dopo aver giustamente provato secondo vostro giudizio e strumenti (di genitori), riferirsi ad una consulenza psicologica per riuscire a sostenere/ “Sbloccare” Suo figlio che potreste eventualmente scegliere di fare anche online modalità che utilizzo anche io e vedo essere sicuramente ugualmente funzionale a quella in presenza per la vostra necessità. Sperando di esserLe stato utile e rimanendo nel caso a disposizione invio cordialità.

dr. Richard Eugen Unterrichter

DOMANDA

Buona serata, mia figlia ha 10 anni e da 3 fa atletica. Le piace molto. Il primo anno fece una gara ma da allora non ne ha più volute fare. Premetto che noi vogliamo solo che le piaccia quello che fa e che si diverta. Quest'anno ha riprovato una gara perché la faceva anche suo fratello più piccolo, ma ha corso piangendo tutto il tempo e dice di non volerne più fare.. Il mio dubbio è se assecondarla oppure se cercare di spronarla?lei dice che le viene ansia e per questo non vuole gareggiare, eppure noi non l'abbiamo mai caricata del peso di arrivare prima o altro.. Ma sempre chiarito che si deve divertire e migliorare per se stessa..

RISPOSTA

Buonasera Signora, dagli elementi che posso leggere qui mi sembra poter essere utile per Sua figlia riuscire a “vedere/focalizzare” quella che sembra essere un’ambivalenza provata da Sua figlia – preferisco non ipotizzare quale potrebbe essere senza conoscere Sua figlia per non rischiare di essere generico o addirittura fuorviante con così pochi elementi e quindi rischiare di generare difficoltà anziché soluzioni- . Le consiglierei di chiedere a Sua figlia se le può andare di fare una consulenza psicologica condividendo con lei la Sua (di entrambi i genitori) preoccupazione e desiderio di aiutarla/sostenerla. Le faccio presente anche le consulenze online, che da mia esperienza esercito da diverso tempo, sono altrettanto efficaci per richieste come la vostra eventuale. Sperando di essere stato utile e rimanendo comunque a disposizione

dr. Richard Eugen Unterrichter

 

DOMANDA

Salve, sono la madre di un bambino di 10 che da 4 gioca a basket amando questo sport e scegliendo da piccolo sempre lo stesso Coach che anche io ho sempre stimato e abbiamo fatto salti mortali per seguirlo. Detto ciò mio figlio è sempre stato portato e seppur piccoletto in gamba ed era sempre osannato tra tutti per essere tra i più bravi seppur piccino di statura. Crescendo è rimasto piccino e la squadra del " suo coach" è cresciuta portando tutti ad ottimi risultati e vincendo parite ...le prime come " aquilotti" categoria non classificabile prima di quella degli esordienti di cui mio figlio insieme a quella degli acquilotti fa parte almeno come anno di nascita... sono stata di sicuro troppo presente nelle ultime decisioni chiedendo perchè...come mai...mio figlio non giocasse non essendo convocato in occasioni importanti come esordiente pur rispettando le scelte del coach che chiaramente per partite importanti predilige i più alti e forti...ci sta...ma mio figlio non è tra I peggiori e non lo dico da madre soltanto e non lo dico soltanto io Detto ciò nell' ultima non convocazione ho sbagliato sicuramente chiedendo scusa al coach perchè mi sono sentita troppo ferita per mio figlio che so che seppur rispetta il coach resta male per le sue scelte e mi riportava che sentiva che non lo apprezzasse abbastanza...io lo incoraggiavo a non credere questo...ma i fatti però mio allontanano dal credere diversamente...nel.mion" sbaglio" di aver contattato il coach che mi ha sintetizzato dicendo " che sono decisioni sue e se non sta bene posso cambiare" non comprendo perchè volendo bene a mio figlio...almeno cosi credevo...perchè non gli parli lui! Mio figlio non ha il coraggio di chiedere o ne ha timore...ma si dispiace perchè ne parla con me e io ci soffro davvero... mi andava bene anche aver chiesto scusa e aver fatto un passo indietro ...ma poi dopo questo accaduto...c' è stato il.primo raduno della federazione esordienti e lui non è stato convocato...neanche qui posso chiedere spiegazioni?

 RISPOSTA

Buonasera Signora Grimaldi,

                                                   dalla Sua descrizione mi arriva un grande investimento affettivo di Suo figlio nei confronti del suo coach (forse ci sono motivi che forse Lei conosce o immagina).

Da quello che posso capire dalla e-mail il centro della Sua domanda sta nel fatto che le percezioni rispetto il ruolo di giocatore di Suo figlio ed il coach non sono proprio simmetriche (non so dire il motivo).

Mi sembra Lei sia stata molto centrata rispetto le segnalazioni in merito fatte presenti al coach anche riconoscendo uno “sconfinamento nei ruoli” involontario e in buona fede che però mi sembra possa sottolineare bene quanto sopra e cioè: la richiesta di “messa in parole”, da parte del coach di quello che sta accadendo: perché sta succedendo questa cosa? Domanda a cui sembra difficile dare risposta da parte del coach. Mi vengono in mente molte possibilità, motivi, ma non riuscirei a condividere con Lei altro che ipotesi e in quanto tali non Le sarei realmente utile mia e-mail perché rimarrebbero comunque sospese generando solo delle bias cognitive che non potrebbero generare altro che, almeno, maggiori perplessità.

Vorrei però farlo per quanto riguarda l’importanza di riuscire a definire per Suo figlio quello che sta succedendo per potergli dare un significato. Credo che potrebbe considerare come il punto centrale possa essere la difficoltà dell’allenatore a mettere in parola quello che forse sentite tutti voler dire. L’implicazione affettiva del “non essere fatto giocare di Suo figlio” nella squadra da parte del “suo” coach che ha seguito tanto e a cui, mi sembra di poter dire, è molto affezionato sembra essere il punto centrale. Forse potrebbe provare in qualche modo a verificare questa cosa e trovare il modo di permettere ad entrambi (il coach e Suo figlio) di potersi confrontare su questo terreno relazionale prima che sportivo? Mi permetto però di farLe presente che potrebbe essere piuttosto difficile, prima di tutto per il coach (non è facile per tutti mettere in parola i sentimenti) ed allora credo sarebbe utile riuscire a farlo in altro modo. Spero di essere riuscito a darLe degli spunti. Se avesse bisogno e pensa possa esserLe utile mi faccia sapere. Cordialità.

dr. Richard Eugen Unterrichter    

 

DOMANDA

Buonasera, Mio figlio ha 11 anni gioca da tre anni a pallanuoto si allena costantemente 3 volte alla settimana..... Onestamente i suoi compagni sono quasi tutti più bravi di lui e la squadra molto numerosa quindi devono fare della turnazione per le partite. Detto ciò mio figlio è stato convocato qualche rara volta a inizio anno e da mesi non vie mai convocato. Io la vivo come un'ingiustizia ma non so come comportarmi. Grazie tante

RISPOSTA

Buongiorno, dalla descrizione posso proporLe solo quello che mi arriva e cioè che potrebbe provare a comprendere cosa significhi / rappresenti per Lei il fatto che Suo figlio giochi più spesso. Forse potrebbe esserLe utile capire anche se giochi: "A pallanuoto e "se in quella squadra" oppure "in un'altra". Se Le servisse una risposta più ampia Le suggerirei un colloquio con uno psicologo.

Cordialità

dr. Richard Eugen Unterrichter

Buonasera.


mia figlia non è mai stata una grande sportiva; sin da piccola le abbiamo fatto provare vari sport, ma non si è mai entusiasmata molto.

Da ormai tre-quattro anni però si è appassionata alla pallavolo: inizialmente ci andava solo perché c'erano le sue migliori amiche, ma col tempo ha iniziato a interessarsi anche al gioco in sé.

Adesso ha 13 anni e, anche se non è propriamente una campionessa, mi stupisce molto come si comporta il nuovo allenatore che c'è dall'anno scorso. 

Infatti durante le partite la lascia moltissimo in panchina, di solito gioca un set..... e non mi sembra che si comporti così con altre.

considerando che noi investiamo soldi e la bambina in investe tempo.... mi piacerebbe che giocasse di più.

Inoltre alcune sue compagne tendono a strillare in modo troppo polemico quando qualcuna sbaglia, e mi sembra che l'allenatore non scoraggi questo atteggiamento.

Lei non si lamenta con noi di queste cose e sembra andare sempre piuttosto volentieri a pallavolo.

la sera però soprattutto dopo le partite è molto irritabile: non so se sia stanchezza o frustrazione.

Finora abbiamo optato per non andare a parlare col suddetto allenatore, ma visto che la cosa si protrae sono tentato di farlo.


grazie per l'attenzione!



Buongiorno, dalla descrizione mi sembra si stia parlando di un quadro, quello del setting sportivo, in cui Sua figlia mi arriva ben integrata.

Riguardo le scelte dell’allenatore “… la lascia moltissimo in panchina”  “… mi sembra che l’allenatore non scoraggi questo atteggiamento” credo potrebbe essere utile per Lei (voi genitori e figlia) capirle meglio e credo possa essere possibile farlo solo parlandone con il coach: credo possa essere l’unico modo per comprendere  meglio la situazione sopra  e così optare per scelte congruenti con le vostre aspettative e bisogni. Riguardo l’irritabilità mi sembra uno stato che merita certamente un’attenzione (non necessariamente una preoccupazione, dipende infatti da diversi fattori come l’origine, l’intensità e la durata e da quello che mi scrive non riuscirei ad esserle, in modo serio, più utile nello specifico).

Capisco il Suo desiderio, se posso permettermi condivisibile e congruente, rispetto al vedere Sua figlia giocare di più visto l’investimento (reale) di tempo e denaro. Considerare anche queste variabili e incrociandole poi con le spiegazioni che avrete dall’allenatore rispetto le vostre perplessità, penso possano chiarirvi il quadro e permettervi di prendere decisioni a riguardo oppure vivere in maniera più soddisfacente l’esperienza di Sua figlia in questa squadra.

Cordialità

dr. Richard Eugen Unterrichter

Buongiorno dottore,


Mia figlia ha 12 anni ed è sempre stata molto sportiva e trova nello sport una grandissima gratificazione, le da struttura e degli obbiettivi in cui credere. Quest’anno ha voluto fare pallavolo e, con grande entusiasmo, ha cominciato. Nulla da ridire, io felice perché è un gioco di squadra femminile, il massimo. E’ presto migliorata e nel giro di un mese l’allenatrice le ha chiesto di fare un upgrade e di cominciare a giocare con le élite, una squadretta che gioca già da 4 anni insieme. Mia figlia sempre più entusiasta, nei momenti liberi si allena, non pensa ad altro. L’altro giorno sono andata a vedere l’allenamento, non c’ero mai stata, ero curiosa di vederla all’opera. Sono rimasta molto turbata. L’allenatrice urlava come una pazza, rimproverava in malo modo le ragazze in campo che sbagliavano, ad ogni errore un giro di flessioni, usava sarcasmo e toni umilianti. Avevo la sensazione che non si controllasse. Io mi sono avvicinata agli altri genitori chiedendogli se ritenessero normale tale metodo. Silenzio, turbamento non esplicito anche da parte loro. Un papà è stato l’unico che mi ha risposto con determinazione: no, non lo trovava normale, in partita ( che mia figlia ancora non hai mai fatto) l’allenatrice dava proprio i numeri, diceva. Torno a casa e chiedo a mia figlia come si sente in proposito. Lei difende l’allenatrice, non le da fastidio che urli così, lo fa perché devono vincere, è importante. Quello è l’unico modo per correggerle, per farle entrare le cose in testa, loro hanno degli obbiettivi, e li vogliono raggiungere. Consideri che mia figlia è appena entrata a far parte del gruppo e per ora ha un trattamento diverso, non viene sgridata e umiliata ancora come le altre. Io rimango perplessa, questo modo di fare non mi rappresenta, non sono i miei valori, vorrei che coltivasse la passione per lo sport sentendo il peso dell’autorevolezza e non di un regime a mio parere violento e poco edificante, che mi sembra una cosa di altri tempi. E poi ha 12 anni ed e’ un’età delicata, anche se lei sostiene il contrario. Va bene essere competitivi, va bene avere degli obbiettivi, voler vincere, ma lo sport non è anche altro? Non so come comportarmi, comunque per mia figlia è una passione la pallavolo ed entrerei in un conflitto insanabile opponendomi, ma sono preoccupata. Consigli? Esagero io? Questo modo è utile, come sostiene lei, a darle grinta, desiderio di migliorare? O è un cattivo esempio, come sostengo io?
Grazie infinite,
D.

RISOPTA


Gentile signora,

la cosa che più mi rimane di questa Sua è una bella sensazione di aver “ascoltato” una mamma che c’è, partecipa e vuole aiutare Sua figlia a crescere, si preoccupa e vuole prendersi cura dei suoi bisogni pur facendo una fatica enorme di doversi confrontare con una realtà / modi di fare per Lei, signora, per nulla confacenti e forse neppure accettabili in particolare dell’allenatrice.   

Mi arriva una mamma che si sforza d’essere riflessiva, che si interroga sul confine tra lei e sua figlia volendo riconoscere ciò che è suo, signora, (mi permetto di citarLa con sola intenzione di chiarezza): “Io rimango perplessa, questo modo di fare non mi rappresenta…” che la fa soffrire e interrogarsi, ma è disponibile ad ascoltare i bisogni e così le percezioni ed i pensieri, anche se diversi, di Sua figlia e così le parla e si sforza di “sentire” che lei, sua figlia, sostiene il contrario. Così per Sua figlia “lo stile” dell’allenatrice viene percepito come “utile per darle grinta” e da Lei, signora, “ un regime violento e poco edificante / umiliante”.

Mi sembra che l’interrogarsi su questa incongruenza (tra modi di sentire diversi tra Lei e Sua figlia) sia all’origine delle Sue preoccupazioni e domande sopra. Trovo molto centrata la Sua preoccupazione e prezioso per Sua figlia, il Suo modo, signora, di affrontarla senza riversarla in agiti esplosivi o contro altri. Questo permette a Sua figlia di sentire che la sua mamma c’è, l’è vicina ed in questo caso anche se ha percezioni diverse, come dicevo, forse bisogni diversi magari anche solo per un periodo, sa rispettare queste differenze senza allontanarsi o giudicare.

Le sarà certo capitato di vedere Sua figlia da piccola o altri, che esploravano le stanze, i giochi, così sperimentavano la vita e se capitava un imprevisto o qualcosa che li turbasse tornava tra le braccia della mamma e lei c’era, rassicurante. Crescendo cambiano le sfide e le esperienze, i bisogni, ma avere una mamma (e/o qualcuno) che ci possa accogliere come “porto sicuro” per rigenerarci è la fortuna più grande che possiamo avere e lo strumento più potente per affrontare la vita con fiducia.

Mi sembra sia quello che sta facendo Lei (essere un porto sicuro per Sua figlia) anche se le costa fatica.

Credo che un genitore che sappia stare a fianco alla propria figlia mostrandoLe quello che sente senza invaderla, si preoccupa ed agisce senza sostituirsi perché non necessario (es. chiede agli altri genitori ma rimane in osservazione), riesce a vedere dove finisce e inizia la propria figlia e riesce ad essere presente come porto sicuro, sia una grande fortuna che mi sembra ha la sua bambina / ragazzina ormai.

Mi viene quindi da rinforzarLe quello che sta già facendo forse con la consapevolezza in più che alcune “paure / preoccupazioni / fatiche” sono più Sue, signora, giuste ma Sue, piuttosto che di Sua figlia. E’ una bella cosa, La tengono presente nella vita di Sua figlia e come sta facendo, a quella che mi sembra la giusta distanza: non troppo lontana se Sua figlia Le chiederà o avrà bisogno di aiuto, né troppo vicina da impedirle di mettersi alla prova con i suoi bisogni che le permetteranno di individuarsi come bambina che vuole crescere e diventare una persona adulta.

dr. Richard E. Unterrichter

DOMANDA

Buon giorno mia figlia di 15 anni non vuole praticare sport, si dedica molto allo studio, ha amici,esce e frequenta anche l oratorio. Il problema è che a scuola fanno pallavolo nelle ore di motoria e lei si sente a disagio. Non prende la palla e si sente criticata dai compagni. Anche per altri giochi sempre con la palla si sente a disagio. Come posso aiutarla? Grazie per la risposta. R.

RISPOSTA

Buongiorno, da quello che mi scrive mi sembra la ragazza non abbia comunque riflessi negativi sulle altre aree della sua vita: scuola, vita sociale… Credo possa essere sufficiente accettare che non sia brava con la palla. Per risolvere l’imbarazzo coi compagni potrebbe semplicemente farci due battute sopra riconoscendo apertamente che non è brava in quelle attività tipo: “Vabbeh, abbiamo capito che da grande diventerò campionessa di ramino anziché di pallavolo. Insomma, in questo caso credo sia utile normalizzare un’attitudine forse poco specifica.

Ma perché essere perfetti? Sono così noiose le persone perfette e poi, in confidenza, quelle che vengono ritenute perfette provocano un sacco di invidia, meglio non diventare bersagli, per quello che si può almeno.

dr. Richard E. Unterrichter

DOMANDA

Salve, mio figlio di 7 anni vuole fare basket. Sta facendo delle lezioni di prova. L'allenatore mi ha detto che ha paura di afferrare il pallone quando gli viene lanciato, perché duro, e non prova a impossessarsi della palla. Tra l'altro è stato giudicato da due compagni, che parlando fra di loro, hanno detto che è scarso. Lui gli ha risposto dicendo che ha sentito che lo stanno giudicando male. Poi mi ha anche riferito che quando formano le squadre resta sempre per ultimo, nessuno lo sceglie. Per lui è il primo approccio allo sport. Continua a ripetermi di voler andare. Che non si tira di certo indietro perché è stato preso in giro. Cosa facciamo, è giusto iscriverlo? Come possiamo aiutarlo a superare questa sua paura di farsi male? Gli abbiamo suggerito di provare anche altri sport. Ma lui non vuole. Gli piace basket. Grazie anticipatamente per i consigli che potrete darci


RISPOSTA

Buongiorno,

non ho capito se a scrivere sia una mamma o un papà, magari chiederei se fosse possibile integrare questa informazione che può essere utile per cercare di avere un quadro più completo.

Dalle informazioni che ho mi chiedo come vede Lei (e l’altro genitore) Suo figlio? Mi sembra che racconti di un bambino dal carattere robusto che sa combattere, ma secondo Lei è verosimile che Suo figlio possa insistere nell’imporsi? Per esempio non ha limiti fisici particolari, o altro. Se la risposta è no, beh, forse vostro figlio sta manifestando il suo temperamento e questa è un’occasione, l’incontro con la realtà: misurarsi e poter, nei diversi esiti, accettare la sconfitta, se non dovesse farcela a giocare, oppure sviluppare al massimo i suoi talenti che magari al momento, quelli tecnici o fisici, potrebbero non essere al top, ma compensati con quelli temperamentali potrebbero diventare sufficienti necessari per i suoi obiettivi (giocare a basket) o magari anche eccelsi. Per quanto riguarda la componente fisica, salvo casi fuori dalla media, dobbiamo sempre considerare che è in piena età dello sviluppo.

La paura nel farsi del male può avere diversi significati e declinazioni: in effetti per molti bambini della sua età un pallone da basket è come lo descrive lui, ma gli altri come fanno? Secondo voi è una paura esogena (esperienziale) oppure endogena (emotiva)? Un modo per aiutarlo per la presa della palla è quella di chiedere ai coach di concentrarsi sull’insegnargli le tecniche di ricezione della palla.

Una cosa che potrebbe aiutarvi molto per sostenere vostro figlio sul versante della sua paura è quella di riuscire a capire la motivazione che lo spinge a volersi iscrivere: che valore dà a entrare in squadra? Che aspettative ha se entra o se non entra?

Credo che lavorare su queste dimensioni potrà aiutarvi.

Cordialmente

dr. Richard E Unterrichter

DOMANDA

Buongiorno, sono la mamma di un ragazzino di 12 anni che gioca a basket. A settembre ha iniziato under 13 ed era bravo e sempre convocato. Da dicembre è cambiato tutto. Torna demotivato dall’allenamento, dice che l’allenatore porta avanti solo chi vuole lui. Non viene più convocato se non ogni tanto per un paio di minuti. Non vuole più andare. Cosa facciamo? Grazie A.



RISPOSTA

Gentile mamma,

sarebbe stato utile avere maggiori informazioni rispetto al vissuto di suo figlio per poterle rispondere in modo più mirato.

Ad ogni modo le scelte dell’allenatore da come scrive sembrano essere cambiate senza un chiaro motivo. Ovviamente solo il coach può sapere le motivazioni che lo hanno portato da dicembre a cambiare atteggiamento e dovrebbero anche essere condivise con i ragazzi, poiché anche l’essere o meno convocati può essere motivo di crescita e può essere uno stimolo per i ragazzi stessi se dietro questa scelta ci sono aspetti tecnici e/o tattici. Avete mai provato a parlarne con l’allenatore stesso? O con la società? Lo sport dovrebbe essere uno strumento educativo oltre che di crescita personale e tecnica per un ragazzo e l’allenatore dovrebbe essere la loro figura di riferimento. Come vive suo figlio il fatto di non giocare? Ne parli con lui apertamente poiché se per lui non è frustrante allenarsi soltanto o magari è importante solo allenarsi, allora è inutile andare oltre.

Valutate insieme i pro e i contro rispetto alla possibilità di restare in questa società o considerare un cambio, del resto come dice la teoria dell’arrangiamento, ogni cambiamento implica un nuovo “aggiustamento” rispetto al vissuto emotivo e alla situazione.

Nella speranza di essere stata utile, le porgo cordiali saluti.

dott.ssa Laura Camastra

DOMANDA

Buonasera, 


Nostro figlio ha 11 anni e da due anni pratica il Teamgym, un ramo della ginnastica artistica con elementi di acrobatica. 

Prima di praticare il Teamgym ha giocato a calcio, sport che ha sempre amato e praticato con molta passione. 

Dopo un centro estivo, presso la società di Teamgym, e su richiesta degli allenatori decise di cambiare nel 2019

Quest'anno, dopo due anni di allenamento con il gruppo del primo livello, gli allenatori gli hanno prospettato di gareggiare con il livello superiore vista la sua bravura. 

Purtroppo a metà anno è stato deciso di farlo gareggiare ancora con i più piccoli per stimolare la squadra e far guadagnare loro più punti durante le gare. 

Non gli è stato comunicato in maniera chiara ma semplicemente sono stata tolta dalla chat di gruppo dei più grandi e sono stata inserita in quella del primo livello. Mattia, nostro figlio, è rimasto molto male. A quel punto ho chiesto agli allenatori di parlare con lui e così è stato fatto. Sembrava tutto ok fino a quando Mattia ha iniziato a dire che l'anno prossimo vorrebbe tornare a giocare a calcio, sport che ha continuato ad amare anche durante questi anni di Teamgym. 

Forse lo ha abbandonato soltanto perché si era sentito lusingato dalle belle parole degli allenatori di Teamgym. 

A noi però dispiace che lui voglia abbandonare il Teamgym perché è molto bravo. Il calcio non è nelle nostre corde anche se sappiamo che Mattia ne è innamorato. 

Ora non sappiamo cosa fare e soprattutto non capiamo qual'è il suo vero sogno,cosa molto difficile da intuire perché è un bambino molto entusiasta e molto innamorato dello sport in genere. 


Grazie per il vostro consiglio 

Cordiali saluti 

R. G.

Gentile R.,

noi crediamo che lo sport sia molto importante nella vita e soprattutto in quella dei nostri ragazzi per le grandi opportunità di crescita personale ed autorealizzazione che può offrire e perché no, anche per costruire possibili percorsi professionali.  

Diverse discipline (qui ad esempio il calcio e il Teamgym) possono offrire, in modi diversi, le opportunità di espressione dei talenti personali.

Mi sembra di capire che vostro figlio abbia delle qualità riconosciute in entrambi gli sport e questo è un bel vantaggio perché offre una più larga possibilità di scelta.  Ma quale e come farla? Se ci stessimo parlando potrei cercare di capire meglio insieme a voi alcune cose in più, tuttavia, da quello che mi scrive mi verrebbe da sollecitarvi un approfondimento rispetto gli obiettivi, vostri e di vostro figlio. Volete (voi genitori e Mattia) fare sport per divertimento, per esprimere i talenti di vostro figlio, oppure per costruire una carriera professionale? Sono obiettivi condivisi? Di tutti? Oppure per qualcuno di voi sono diversi?

Mi sembra sia utile capire e dirvi con Mattia, alcuni punti importanti come il motivo per cui tornare a giocare a calcio o a Teamgym perché questo vi permetterà anche di sgombrare il campo da fantasie che potrebbero fuorviarvi, rispetto la motivazione alla pratica sportiva, incidere sulla performance, influenzare il raggiungimento degli obiettivi. Parlarne con vostro figlio e anche con gli allenatori è un modo molto utile. Credo questa possa essere un’ottima chiave per poter vedere e prendere la decisione più soddisfacente e performante.

Credo sia anche il modo con cui potrete tutti comprendere quale sia il sogno di Mattia perché spesso, soprattutto per i ragazzi, non è facile definire i nostri sogni, ma farlo è certamente uno strumento potentissimo perché è lì che troveremo il concentrato dei loro bisogni e la mappa per sostenerli nelle difficoltà della propria autorealizzazione.

Sperando di esservi stato utile invio cordialità

dr. Richard Eugen Unterrichter

DOMANDA

Buongiorno, Il mio bimbo di 7 anni è amante dello sport e gli piace moltissimo correre. È indeciso se continuare atletica o iniziare pallavolo, ha le idee poco chiare e non so come aiutarlo. Premesso che gli ho detto che deve essere una sua scelta. Ha fatto un anno di atletica, poi voleva smettere quando hanno iniziato a fare le gare di corsa campestre e si è motivato continuando a frequentare. È un bimbo molto competitivo, a volte anche troppo. Ha iniziato poi a manifestare il desiderio di fare pallavolo perché ci sono delle compagne che la fanno. Gli ho fatto fare delle lezioni di prova e quando torna dice di essersi divertito e voler continuare. Invece, se sa che ci sono delle gare di atletica, dice che vuole fare quello. Come posso aiutarlo a fare la giusta scelte? S. F.



Gentile mamma,

mi sarebbe piaciuto avere ulteriori informazioni rispetto alla frase “è un bimbo competitivo, forse anche troppo”, perché lascia intendere che probabilmente le sue scelte sono dettate anche da questo? Se così fosse, che l’atletica lo motiva per le gare? Essendo ancora piccolo per scegliere uno sport verso il quale prendere un “vero impegno” nel tempo, è giusto che lui possa sperimentare diverse discipline, anzi le scienze motorie cercando di lavorare in quest’ottica, ossia che il bambino possa approcciarsi a sport differenti prima di scegliere quello che più fa per lui. Ma fare per lui cosa significa? E come giustamente lei si domanda come può un genitore accompagnare il proprio figlio nel modo giusto? Ciò che mi sento di dirle è che in realtà non c’è una cosa giusta da fare, potete parlarne e valutare insieme i pro e contro rispetto ai due sport per accompagnarlo ad una scelta (dando per scontato dalle sue parole che entrambi non sia possibile farli). In quella fase d’età è normale scegliere uno sport dove va un amico, ma parlare insieme ed apertamente di tutti i vantaggi e gli svantaggi che il bambino vede, supportato da un adulto, può sicuramente essere d’aiuto a chiarire la confusione e dà la possibilità anche su un piano di sviluppo e di crescita, di poter esprimere emozioni, pensieri legati ad una scelta. Altra cosa importante per un bambino è sentirsi sempre supportato e accompagnato a prescindere dalla scelta che fa, poiché questa può essere legata anche ad una motivazione passeggera, ad un momento, ma data l’età di suo figlio va anche bene così, del resto, chi meglio di lui stesso sa cosa sia meglio per lui? Seguire un suo desiderio e scegliere per sé, lo aiuta anche a fortificarsi e sentirsi più adeguato e rafforza il senso di autostima.

Con la speranza di essere stata utili, le porgo cordiali saluti.

Dott.ssa Laura Camastra

Buonasera, 

sono mamma di una bambina di 8 anni che pratica il nuoto (corso delfino 1). In passato lei aveva molto entusiasmo per questa attività, grazie alla dimensione ludica dei corsi e ad istruttori molto validi. Nel tempo la situazione è cambiata (esercizi più ripetitivi, istruttrice poco motivante, nessuna amica nel corso) e ora la bambina vorrebbe smettere per avere il pomeriggio libero e giocare con l'amica del cuore. 

Suo padre ed io comprendiamo questo desiderio e lo assecondiamo permettendole di saltare il nuoto in caso di feste o inviti dalle (e alle) amiche. Vorremmo però che proseguisse, perché le mancano pochi corsi per completare gli apprendimenti basilari e consolidare la tecnica dei vari stili. Pensiamo sia importante farle acquisire scioltezza e sicurezza nel nuoto a questa età, anche perché possa mantenersi in salute da grande. La bambina infatti è portatrice di una valvola aortica quadricuspide, e non tutte le attività sportive potrebbero risultare adatte in futuro. 

Dubitiamo che l'arrivo della preadolescenza potrà motivarla maggiormente, perciò ci pare poco utile sospendere ora in attesa di un momento più favorevole. 


Sbagliamo? Dovremmo interrompere?


Alcuni dati di contesto, forse utili: il

corso di nuoto si svolge una volta a settimana, nell'unico giorno libero dell'amica del cuore (che fa ginnastica, artistica agonistica). Nostra figlia pratica il trampolino elastico e quest'anno inizierà con qualche garetta per vedere se la cosa le piace.  

Entrambe le ragazze si trovano bene in questa palestra e s'impegnano, ma ci pare che siano soprattutto diligenti, e felici di essere lì insieme. La passione per uno sport è un'altra cosa. 

A volte ci dicono che vorrebbero giocare a calcio. Noi non siamo contrari a priori (purché in un contesto immune alla logica dei "campioncini") ma siamo dubbiosi sull'appropriatezza di un'attività così intensa nel caso di nostra figlia. 

Che cosa suggerite? 


Grazie per l'attenzione e per i consigli che vorrete darci. 

Un cordiale saluto, 

L

RISPOSTA

Gentile L,

fare sport ha conseguenze fondamentali sullo sviluppo dei bambini, sulle capacità relazionali, sul fisico e a livello educativo. Per questo, a mio avviso, è molto importante che i bambini facciano attività sportiva. È fondamentale, soprattutto a 8 anni, che l'attività svolta piaccia e sia un momento di divertimento. Da quello che racconta, sua figlia pratica sia nuoto che trampolino elastico: per il primo ha perso entusiasmo mentre il secondo lo svolge volentieri e con impegno. Il mio consiglio è quello di capire quanto sia "insopportabile" il nuoto e decidere di conseguenza: se l'unico problema è la coincidenza con il pomeriggio libero dell'amica si può valutare e l'attività le piace, si può provare a spostare l'allenamento; al contrario se andare a nuoto diventa un peso insostenibile, è meglio cambiare e concentrarsi su altro, che sia la ginnastica, il calcio oppure un altro sport. Come sottolinea la teoria dell'arrangiamento, è fondamentale capire quali siano le reali emozioni e sensazioni di vostra figlia per prendere la decisione migliore, che le permetta di fare attività sportiva divertendosi e appassionandosi ad essa.

Spero di essere stato utile

Dr Paolo Peluchetti


DOMANDA

Buongiorno,
sono la mamma di un bambino di quasi 7 anni. Da quando aveva 3 anni ha sempre praticato molto sport (siamo una famiglia di sportivi) e negli ultimi 2 anni pratica regolarmente calcio, tennis, nuoto e sci.
Non ha mai avuto problemi con compagni ed allenatori, e ha sempre partecipato con entusiamo.
Ma nell'ultimo periodo ci siamo accorti che nel calcio è diventato molto timoroso, non tocca mai la palla nelle partite, e anzi cerca di stare molto lontano dal gioco.
Abbiamo pensato che non gli piacesse, invece ci ha confidato di avere troppo paura di farsi male.
Non gli è mai capitato nessuno evento spiacevole. Ci dispiace molto vederlo così, perchè si perde il bello del gioco e non si diverte.
Come possiamo aiutarlo?
Vi ringrazio
E



RISPOSTA

Gentile mamma,

la scelta di uno sport spesso rappresenta anche delle caratteristiche personali, caratteriali, almeno del momento. Ciò che mi sento di consigliarvi, non avendo molti elementi rispetto alla scelta del bambino nel fare un’attività piuttosto che un’altra, è di valutare con lui se continuare a praticare il calcio. Essendo ancora piccolo, l’aspetto ludico, di divertimento, deve essere importante, è la spinta a continuare quell’attività e evitare che il bambino si demotivi. Valutate insieme a lui, parlate apertamente di cosa gli piace fare, in quale attività si sente bene, si può esprimere al meglio, valutando insieme i pro e i contro in questo senso. Avere paura di farsi male può essere normale, potrebbe voler dire che magari è portato più per uno sport dove c’è meno contatto fisico rispetto al calcio, come possono essere gli altri sport che fa. Certo, bisogna comunque dare anche a lui lo spazio di poter parlare di questa paura e di verbalizzarlo, in modo da fargli comunque capire che non è detto che se ci sia il contatto fisico ci si faccia male necessariamente, ma possiate valutare insieme cosa lui si sente di fare.

Nella speranza di essere stata utile, vi porgo cordiali saluti.

Dott.ssa Laura Camastra

DOMANDA

scusate ho un dilemma e volevo sapere come mi devo comportare. mio figlio ha 11 anni gioca a calcio da 2 anni ma non è ben inserito nel gruppo inoltre è molto forte la competizione visto che i suoi compagni giocano da 4 anni in più di lui. addirittura la scelta di voler fare il portiere perché così ha un ruolo tutto suo. non viene mai convocato alle partite e io come genitore non so che pensare. è giusto metterlo in disparte sempre durante le partite?devo condividere ciecamente la decisione dell'allenatore? se non è all'altezza della squadra non è meglio farlo smettere? non so se è giusto farlo continuare o insistere per farlo smettere. grazie per le risposte. 

 RISPOSTA

Gentile genitore,

non posso e non voglio giudicare le scelte di un allenatore e di una società. Il mio consiglio è parlare sia con suo figlio che con l'allenatore: con suo figlio per capire quali siano le reali sensazioni ed emozioni che prova: si diverte anche se non viene convocato? si trova bene nel gruppo? Gli piace il calcio e vorrebbe sentirsi protagonista? A seconda delle risposte sarà possibile fare una scelta migliore che varia dal continuare nella stessa squadra, cambiare società, cambiare sport. Solo suo figlio sa quali sono i suoi reali interessi. Nel caso in cui suo figlio si trovi bene nel gruppo squadra è importante capire con l'allenatore se c'è la possibilità che migliorando possa essere convocato oppure no. Anche questa risposta potrà aiutare a trovare le soluzioni migliori.

Spero di essere stato utile

Dr Paolo Peluchetti

Contatti

DOMANDA

Buongiorno dott. Volevo chiederle un consiglio, mio figlio nuota a livello agonistico, l' anno scorso si è anche qualificato per le nazionali di Riccione e di Roma, a fine novembre del 2017 abbiamo scoperto che ha avuto la mononucleosi xche non riusciva a nuotare bene. Ora che siamo a metà febbraio non sappiamo se si è ripreso del tutto oppure no. Le spiego, durante gli allenamenti che lui fa sempre anche 2 volte al giorno dice di sentirsi bn ma quando gareggia va malissimo è peggiorato molto, io vorrei aiutarlo perché lui sta soffrendo molto per questo problema, come devo fare? Grazie 


RISPOSTA

Gentilissimo genitore,

avrei bisogno di ulteriori elementi per poter avere un quadro più specifico della situazione. Sicuramente la mononucleosi avrà avuto delle ripercussioni fisiche su suo figlio, visti i sintomi che comporta, i quali magari l’hanno portato ad allontanarsi dal nuoto per un periodo. Spesso, nonostante sia passato il virus, la stanchezza continua a presentarsi, quindi sicuramente un parere medico potrebbe esservi utile per dei chiarimenti in questo senso. La cosa su cui riflettere è che, da come dice, i suoi peggioramenti vengono fuori durante le gare, dove c’è una componente maggiore di competizione, di prestazione e confronto rispetto agli allenamenti. Non so quanti anni abbia suoi figlio, ma sarebbe utile parlare apertamente con lui per cercare di capire il suo vissuto rispetto a questo e alle gare. Sarebbe utile comunque rimandargli che dopo una malattia, è normale avere dei tempi di ripresa più lenti e cercare invece di rinforzare gli sforzi che fa e l’impegno che ci mette, in modo da non fargli vivere con frustrazione il “peggioramento” di cui parla. Secondo la teoria dell’arrangiamento ogni cambiamento, ogni nuova situazione (come possa essere stato per suo figlio gareggiare nonostante la ripresa lenta dalla malattia) richiede comunque un doversi 

riaggiustare rispetto al vissuto emotivo e alla situazione; cerchi comunque di farlo sentire sostenuto e di capire insieme a lui ciò che sente.

Cordiali saluti,

Dott.ssa Laura Camastra

DOMANDA

Buongiorno,  ho un  figlio che pratica Basket da 4 anni.
Il 22 Dicembre ha avuto una distorsione alla caviglia con infrazione del malleolo. Ha tenuto il gesso fino al 15 Gennaio.Il 29 Gennaio ha ripreso gli allenamenti senza avere dolore.
Ha ripreso anche le partite una settimana fa; Durante l' allenamento va tutto bene; Durante le partite non risce a fare le cose più banali come palleggiare e portar palla; Questo lo deprime da morire.
parlando co lui ho scoperto che il suo pensiero fisso è la paura di farsi male nuovamente e non vuole accettare che ci vuole tempo affinchè  i movimenti prima naturali ridiventino tali. Si sente inutile anche per la squadra dopo è sempre  stato un elemento importante.
Come posso aiutarlo?


RISPOSTA


Gentile genitore,

sicuramente l’infortunio avrà avuto per suo figlio un impatto emotivo, con le paure che ne conseguono. Infortunarsi rappresenta come un dover avere a che fare anche con quelli che possono essere dei “limiti”, con la perdita del controllo rispetto al proprio corpo, rispetto al quale si ha la percezione di poter “controllare”. Quando capitano questi eventi inaspettati, comunque si vive un periodo in cui bisogna metter fuori le proprie risorse per riaggiustarsi rispetto al nuovo vissuto, come espresso nella teoria dell’arrangiamento. Sarebbe utile per suo figlio poter parlare con qualcuno del suo vissuto, magari cercare di esternare anche con l’allenatore cosa sente di fare in questo momento, dove “spingere” e dove invece dare del tempo per permettere a suo figlio stesso di superare questa paura, plausibilissima dopo un infortunio. Ovviamente non ho molti elementi rispetto a suo figlio, ma può essere utile per lui rivolgersi ad un professionista del settore, uno psicologo, in modo da supportarlo in questa fase di “ripresa” e dare uno spazio a suo figlio in cui poter parlare e verbalizzare le sue emozioni.

Cordiali saluti.

Dott.ssa Laura Camastra 

DOMANDA

Salve, gioco in terza categoria e la nostra squadra è vicina al ritiro dal campionato (mancano 8 partite, poco meno di 3 mesi).  La squadra si è totalmente disunità, sin dall'inizio sono mancati i veri valori sportivi,  rispetto degli altri e delle regole,  l'impegno, il sacrificio, la lealtà. Ora, non sappiamo che fare.  Siamo indecisi tutti se proseguire, se ritirare completamente la squadra dal campionato, oppure fare un solo allenamento più gara ufficiale la domenica o soltanto partecipare la domenica. Abbiamo fallito tutti dai giocatori ai dirigenti. 


RISPOSTA


Gentile atleta,

non mi è molto chiara la sua richiesta, ma immagino voglia un consiglio rispetto a cosa sia meglio fare in questa situazione. Questa è una decisione che andrebbe presa con la società e l’allenatore e non ho molti elementi per poter avere un quadro chiaro. Da come scrive sembra sia venuta a mancare la motivazione rispetto a questo campionato, ma non è chiaro se sia rispetto al clima percepito nella squadra o sia dettato da motivazioni individuali.

La cosa che mi sento di dirle è di riflettere ai suoi compagni sugli obiettivi che vi eravate posti, valutando quelli che sono i pro e i contro rispetto alla scelta che volete intraprendere e in base a questo, riflettere su quello che ne comporta. Sarebbe un peccato perdere le occasioni che lo sport porta con sé, in senso di crescita personale, ma dipende da quello che è la motivazione e il vissuto rispetto alla situazione, per evitare che esso diventi solo stress o comunque venga vissuto in senso negativo.

Ad ogni modo le faccio un in bocca al lupo, dopo tutto, nessuno le vieta di ricominciare in un’altra squadra se decidete di ritirarla.


Cordiali saluti,

Dott.ssa Laura Camastra

DOMANDA

Buon giorno,


Sono il papà di un ragazzo di 13 anni che pratica pallanuoto da circa 6 anni.

Si è sempre impegnato molto anche se non è mai riuscito ad ottenere risultati eccellenti.

L’allenatore lo ha sempre fatto giocare poco ma lui ha continuato ad allenarsi con costanza.

Quest’ anno la società ha richiesto un ulteriore incremento dell’impegno dei ragazzi:

- Sono richiesti 5 allenamenti alla settimana di cui due dalle 19 alle 22 in cui la prima ora è di palestra ed il resto in vasca.


Mio figlio continua ad allenarsi con costanza ma nella prima partita ( assieme ad altri ragazzi) non è stato convocato.

E’ rimasto molto deluso ma ha detto che l’allenatore vuole che tutti si impegnino al massimo.

Nell’ultimo allenamento mio figlio ha detto che si è voluto impegnare al massimo per fare vedere all’allenatore che lui mette il massimo impegno , tanto che durante l’allenamento ha avuto dei giramenti di testa

ed era molto stanco.

Ho cercato di fargli capire che non deve esagerare che secondo me non deve affrontare in questo modo la cosa.

Mi chiedo se questo sia giusto, ed in particolare far credere ad un ragazzo che impegnandosi a fondo può raggiugere risultati che in realtà non può raggiungere.

Mi chiedo se sia meglio che in qualche modo , come genitore faccia capire a mio figlio che ci sono altre cose più importanti e che anche se non ottiene certi risultati non è importante.

A volte mi chiedo se sia meglio, “accompagnarlo” dolcemente e progressivamente ad un abbandono della pratica sportiva in modo tale da evitare delusioni che potrebbero danneggiare in un certo senso la stime in se stesso ed il suo sviluppo psicofisico.


La ringrazio


RISPOSTA

Gentile genitore,

anche l'abbandono "dolce e progressivo" di uno sport può essere causa di delusioni. Credo che ci siano soluzioni migliori per evitare che i fallimenti danneggino l'autostima. Da un lato sarà importante valorizzare l'impegno che suo figlio sta mettendo nella pallanuoto perchè non è mai fine a se stesso: sicuramente starà migliorando sotto tutti gli aspetti e crescendo fisicamente, tecnicamente e moralmente. È importante far capire a suo figlio che l'obiettivo non è soltanto la convocazione o il numero dei minuti giocati ma il miglioramento personale. È fondamentale individuare degli obiettivi che siano ben definiti e chiari (es. velocità di nuotata, n° di tiri in porta, N° di gol in allenamento): il raggiungimento di essi porterà ad un costante miglioramento dell'autostima. È fondamentale allo stesso tempo che siano raggiungibili con un impegno normale e non con sforzi anormali se no si rischia di esagerare e avere problemi di salute. Questa tecnica è chiamata goal setting e permette attraverso l'individuazione e il raggiungimento di obiettivi ben definiti di aumentare la propria autostima e rimanere costantemente motivati. Il percorso di crescita di un ragazzo di 13 anni deve essere graduale e ogni tappa ha bisogno di tempo.

Spero di essere stato utile

Dr Paolo Peluchetti

DOMANDA

Ciao, sono D., mio figlio ha 11 anni, da quest'anno gioca in una squadra di buon livello. Tutti
dicono(compreso io) che lui abbia delle grandi capacità col pallone, si allena che e una meraviglia… Il
problema e che quando arriva la partita non corre, non mette la grinta necessaria e via dicendo. Non e un
problema di adesso, nelle altre squadre in cui ha giocato era uguale.
Abbiamo cambiato squadre per capire se era un problema con l'allenatore, ma alla fine, in tutte le squadre,
stesso problema. Quando fa il provino, lo prendono al volo. Le prime partite e sempre titolare, le danno pure
la maglietta numero 10. Ma man mano che passano le partite, e comincia a deludere perché non corre e non
mette la grinta necessaria, cominciano i problemi. Attualmente parte dalla panchina sempre. Vedo che gli
altri bambini giocano tre tempi, lui a mala penna uno… Ma comunque devo dire che gioca 5 minuti ed è già
stanco. Capisco la scelta dell'allenatore….
Potrebbe essere anche un problema di salute? Sinceramente non sappiamo cosa fare. E veramente un peccato
perché vederlo con la palla ai piede e un piacere, ma vederlo in una partita… viene la voglia di entrare in
campo e urlare fortissimo: CORRI!!!!!!! FAI QUALCOSA!!!!
Grazie della vostra disponibilità.


RISPOSTA
Gentile D.
la situazione che descrive è chiara: suo figlio possiede ottime doti calcistiche ma riesce ad esprimerle
solamente negli allenamenti mentre durante le partite risulta spento, fuori dal gioco e si stanca
immediatamente. Il problema potrebbe essere legato alle sensazioni e alle emozioni che prova durante le
partite: è possibile che senta la partita e sia sopraffatto dalla tensione e dall'ansia. È una situazione che
caratterizza un buon numero di ragazzi e va affrontata al fine di evitare l'abbandono per l'attività. Il mio
consiglio primario è quello di parlare con suo figlio e capire insieme a lui come si sente prima e durante le
partite e cosa vive di diverso rispetto agli allenamenti. Come sottolinea la teoria dell'arrangiamento, essere
consapevoli delle proprie emozioni e sensazioni è fondamentale per trovare le soluzioni ai vari problemi e
migliorare il proprio benessere. Queste informazioni saranno utili per capire se ha delle paure e quali sono.
Paura di sbagliare? Paura di non essere abbastanza bravo? Paura di perdere? A questo punto sarà necessario
tranquillizzare suo figlio e spiegargli che deve pensare solo a divertirsi e a fare il meglio possibile senza
soffermarsi su possibili giudizi o valutazioni. Inoltre come genitore dovbrebbe cercare di sostenere sempre
suo figlio, cercando di valorizzare gli aspetti positivi e di impegno, evitando critiche ed evitando di insistere
sugli aspetti negativi. Insieme all'allenatore inoltre sarebbe importante individuare degli obiettivi che suo
figlio deve raggiungere durante la partita: devono essere obiettivi raggiungibili, ben definiti e misurabili (es.
fare 10 passaggi, provare 5 conclusioni in porta, provare a fare 5 1vs1 ecc). Questa tecnica si chiama Goal
setting e serve a stimolare l'atleta con compiti definiti che una volta raggiunti sono fonte di soddisfazione e
aumento dell'autostima.
Spero di essere stato utile

Dr Paolo Peluchetti

DOMANDA

Buongiorno, sono papà di un ragazzino di 13 anni che gioca a basket, sia nella sua leva U14 che in quella
maggiore U15, allenandosi puntualmente rispettando ogni decisione e indicazione dell’allenatore.
Nella leva U15 viene impiegato meno di tutti i suoi coetanei convocati, il più delle volte per un paio di
minuti a partita, probabilmente perché il meno dotato fisicamente e tecnicamente.
Alla fine dell’ultima partita giocata, nella quale è stato in campo un solo minuto, ha trascorso tutto il tempo
del viaggio di rientro nel silenzio più assoluto ed era visibilmente deluso, forse anche perché eravamo
presenti noi genitori che avevamo percorso 150 km per vederlo giocare.
Vederlo così infelice mi ha fatto prendere la decisione di comunicare all’allenatore che nell’interesse di mio
figlio non l’avrei più mandato alle partite U15, senza lasciare spazio a trattative.
L’allenatore ha provato a farmi cambiare idea spiegandomi che già la convocazione nella leva maggiore
vuole essere un premio e che comunque il campionato è lungo e che ci sarebbero state sicuramente altre
occasioni per poter giocare.
Sono consapevole che le scelte dell’allenatore sono state fatte nell’interesse della squadra e la mia decisione
non è stata presa per contestare la condotta dello stesso.
Il mio unico scopo è tutelare la salute di mio figlio, poiché ritengo che continuare in questo modo possa
fargli perdere fiducia nelle sue capacità non vedendo grande riscontro al suo impegno da parte
dell’allenatore.
Tuttavia non sono pienamente sicuro del valore educativo del mio gesto e non vorrei aver sminuito il ruolo
svolto dall’allenatore nei suoi confronti, pertanto gradirei, se possibile, un Vostro parere in merito.
Ringrazio per l'attenzione. S

RISPOSTA
Gentile S.
concordo pienamente sul fatto che il suo gesto sia teso a tutelare suo figlio da possibili emozioni negative e
delusioni e non a sminuire il ruolo e l'autorità dell'allenatore. Non è facile dare una valutazione in merito in
quanto non conosco le reali motivazioni per le quali l'allenatore convoca alle partite ragazzi più giovani e per
quale motivo li mette in campo oppure no. Da quello che racconta rispetto al confronto con l'allenatore si può
intuire come per lui la convocazione sia un premio, un modo per confrontarsi con un livello fisico, tecnico
ecc più elevato e per fare esperienza. Se le motivazioni fossero queste, sarebbero a mio avviso corrette. La
cosa importante è che l'allenatore spieghi in modo chiaro le proprie intenzioni in modo che l'atleta sia
consapevole del fatto che è una opportunità di crescita ma che la possibilità di giocare in partita sono
minime. Essere chiari è fondamentale per evitare il nascere di emozioni negative e fraintendimenti. Lo stesso
ragionamento vale per lei come genitore: è fondamentale che la scelta di non andare più con la squadra più
grande sia stata condivisa tra lei e suo figlio e che abbia alle basi le giuste motivazioni. A mio avviso sono le
motivazioni che stabiliscono se le nostre scelte hanno il giusto valore educativo.
Spero di essere stato utile

Dr Paolo Peluchetti

DOMANDA
Salve
Mio figlio  A di 12 anni dopo circa 2 mesi dall'inzio della stagione ha deciso di smettere di fare calcio.. Il
tutto nasce da un problema relativo ad un disturbo.. Infatti  capita nelle partite che  a volte  dopo aver fatto
degli scatti in velocità ha urto di vomito  e mancamento di fiato.. Non c'è la fa.. E si fa sostituire.. Preciso che
il problema è nato solo negli ultimi 2 anni.. Lui gioca da quando ne aveva 6.. E si manifesta quasi
esclusivamente nelle partite... Probabilmente è dovuto anche ad un fattore psicologico.. o lo è diventato..

perché per lui è un po' come una sconfitta.. anche se non ha gettato la spugna subito.. io gli ho consigliato di
fare allenamenti extra di andare a correre con me visto che io vado spesso e discretamente.. Perché sono
convinto che deve correre a 100 per poi correre con meno fatica a 80 In partita.. questa ipotesi nasce da una
mia esperienza personale.. Io come lui sofro di asma e so che un buon allenamento intenso aiuta tanto.. Ora
lo staff ci ha parlato lo vorrebbero vedere tornare.. Visto che ha un buon comportamento ed è di medio
livello non so se forzarlo o se dirottarlo su altri sport.. magari meno aerobici.. preciso che di fisico e asciutto
e apposto.. anche nel eventuale scelta di altre alternative non  ha idea.. perché non manifesta interessi
particolari per altre attività.. a dire il vero non va pazzo neppure per il calcio.. non guarda nessun sport in
TV.. ma si proietta su la solita ps4.. Se potete darmi un consiglio.. Grazie I.  


RISPOSTA
Gentile A,
il mio consiglio iniziale è quello di verificare se suo figlio soffre di qualche disturbo fisico oppure no. Il fatto
che avvenga solo durante le partite non dimostra che sia legato solo a fattori psicologici in quanto c'è la
possibilità che il disturbo fisico si manifesti in situazioni con un maggior livello di ansia. Una volta capito
questo sarà possibile in caso intervenire a livello fisico. Rispetto alla possibilità di ricominciare o cambiare
sport è importante capire quali sono le sensazioni e le motivazioni di suo figlio: obbligarlo a ricominciare o a
cambiare potrebbe avere effetti negativi come l'abbandono o malessere. Il mio consiglio è quello di
confrontarsi con lui e proporgli magari delle prove nelle quali valutare se il problema dell'asma si riesce a
risolvere o controllare e se invece nasce una passione o un interesse verso un altro sport. A 12 anni è
importante la pratica di uno sport in quanto porta con sè tantissimi aspetti educativi, fisici e relazionali
fondamentali.
Spero di essere stato utile
Dr Paolo Peluchetti

DOMANDA

Salve, sono la mamma di un bambino di quasi 9 anni che gioca anche abbastanza bene a calcio in una squadra che però ha una buona media di sconfitte nel confronto con le altre squadre della zona.

Ieri è venuto a casa piangendo perché il suo amico gli ha detto che ha intenzione di cambiare squadra andando ad indebolire di parecchio il gruppo.

Non so come consigliarlo e come sostenerlo in questa situazione. Potete darmi una mano per cortesia?

Grazie


RISPOSTA

Gentile mamma,

è normale che suo figlio sia triste per il fatto che un suo compagno lasci la squadra. È importante capire quanto invece sia triste per le numerose sconfitte. Per i bambini è fondamentale il divertimento e spesso il risultato conta poco. Il mio consiglio è quello di parlare con suo figlio e capire le emozioni e le sensazioni che prova a giocare in quella squadra. Si diverte nonostante le sconfitte? È stanco di perdere? La risposta a queste domande potrebbe chiarire meglio la situazione e di conseguenza sarà per lei più facile intervenire, sempre che c'è ne sia bisogno. Fondamentale è che suo figlio si diverta: sostenerlo significa capire le sue intenzioni ed aiutarlo a scegliere la strada migliore per lui.

Spero di essere stato utile 

Dr Paolo Peluchetti 



DOMANDA


Buongiorno, sono la mamma di un bambino di 11 anni che ha fatto calcio per 4 anni (con tanto entusiasmo e pochi risultati) e da 4 anni fa basket. Partecipa agli allenamenti con piacere e divertimento. E nessun impegno! I suoi compagni hanno raggiunto ottimi risultati e vederli giocare è fonte di ammirazione e piacere da parte mia. Vedere mio figlio giocare è causa di attacchi di bile.

Ma la cosa che maggiormente mi fa rabbia è che lui sembra non accorgersi minimamente della differenza di bravura tra lui e i compagni. Il prossimo anno non ho nessuna intenzione di iscriverlo, allo scopo di risparmiargli umilizioni (non viene mai convocato nelle partite importanti e quando gioca in allenamento disputa le partitelle con bambini più bassi di lui. E non riesce nemmeno a portare risultati, essendo anche poco più alto della media). Lui invece insiste nel voler tornare a giocare. La domanda è: come convincerlo senza ferire i suoi sentimenti? Ho pensato anche di rivolgermi ad uno psicologo per capire i motivi del suo mancato miglioramento. Mi scusi per la lunghezza della mail, ho cercato di renderLe più chiaro possibile il quadro. La prego di rispondermi: questo pensiero non mi fa dormire. Grazie

.... ho dimenticato di dirle che a scuola (quest anno in prima media) ha la media dell'8. Non é una questione di intelligenza, suppongo, ma di carattere... Grazie


RISPOSTA

Gentile mamma,

l'obiettivo dello sport per i bambini non è quello di vincere o essere il migliore ma quello di divertirsi e stare bene. Da quello che mi racconta suo figlio vive con entusiasmo gli allenamenti e si diverte nel farlo senza dar peso alle mancate convocazioni: non capisco il motivo per cui dovrebbe smettere. Il mio consiglio è quello di provare ad ascoltare suo figlio e capire i motivi per i quali adora giocare a basket. Obbligarlo a smettere o cambiare sport senza che ne sia convinto potrebbe portarlo a svolgere la nuova attività controvoglia e a mollare dopo poco. Come suggerisce la teoria dell'arrangiamento è importante capire le proprie emozioni e sensazioni per affrontare al meglio le situazioni che abbiamo di fronte. Provi a dare maggiore importanza al benessere di suo figlio e al suo divertimento e meno ai risultati e credo le passerà la rabbia.

Spero di essere stato utile

Dr Paolo Peluchetti 


DOMANDA


Buongiorno,

mio figlio ha 10 anni e gioca a calcio da quando ha 5 anni e da quest'anno fa il difensore centrale. Come ultimo uomo di difesa sente forte la responsabilità dei goal subiti e delle sconfitte, tanto da indurlo a cercare scuse (mal di testa, mal di pancia) per non andare agli allenamenti e alle partite. Inoltre, l'ansia di prendere goal lo fa sbagliare, a volte anche banalmente, pur essendo lui molto dotato tecnicamente.

Quest'anno frequenta una squalo calcio che riconferma i bambini in base ai risultati ottenuti e quindi lo stress è ancora più forte.

La mia richiesta di aiuto è duplice. 

Devo insistere e portarlo comunque alle partite, anche se le vivrà con ansia, sperando che con il tempo le affronti come una normalità, e quindi confrontarsi con la sua paura invece di evitarla.

E', soprattutto, visto che sta paventando l'ipotesi di voler lasciare, pur essendo molto dotato, dovrei assecondarlo o tentare in ultima ipotesi (cosa che non si dovrebbe fare) chiedere ai mister se può giocare in un ruolo con meno responsabilità?

Grazie P.


RISPOSTA

Gentile P.

ogni ruolo ha delle responsabilità, in alcuni casi sono più visibili e in altri meno ma comunque ci sono. Questo per dirle che a mio avviso cambiare ruolo potrebbe essere una soluzione poco efficace. A mio avviso potrebbe essere migliore un intervento legato al miglioramento dell'autostima e della fiducia in se stessi. Suo figlio dovrebbe imparare che gli errori possono capitare a tutti e in ogni posizione del campo. Il mio consiglio per lei genitore è quello di sostenere suo figlio: sarà importante motivarlo, sottolineando le sue qualità e le sue prestazioni e insistendo sul fatto che partecipare e giocare è l'unico modo per migliorare. Sara importante valorizzare i piccoli miglioramenti e cercare insieme a lui elementi e sensazioni positive nel gioco del calcio.

Spero di essere stato utile

Dr Paolo Peluchetti 

DOMANDA 

Buongiorno!

Mio figlio (5anni) è al secondo anno di mini rugby. Lo scorso anno i primi mesi sono stati impegnativi, piangeva e basta ma non abbiamo mollato (lui è cresciuto circondato da bambine più grandi e quindi è meno ‘fisico’ rispetto ad altri bambini), poi magicamente ha cominciato a divertirsi e se non altro gli allenamenti sono diventati momento di allegria. Durante le partite invece andava in campo, ma faceva solo presenza fisica, la palla non la toccava mai. Per noi è già stato un successo il suo cambio di approccio quindi andava bene così e lo abbiamo sempre stimolato a divertirsi. Quest’anno ha ripreso gli allenamenti senza problemi, anzi, adesso ci mette spesso anche una bella grinta! I compagni di squadra sono tutti suoi amici ed è felice di starci assieme. Quando ci sono i tornei però tutto cambia. Comincia la sera prima a inventare malesseri, poi quando arriva in campo puntualmente piange. Gli educatori sono speciali e gli stanno dietro, quindi poi il pianto passa ma in campo non corre, non si butta, non è assolutamente di aiuto alla squadra. Noi gli diciamo sempre che non ci interessano le mete e i risultati ma solo l’impegno e l’aiuto alla squadra, non voglio che abbia ansia da prestazione ma quando lo vedo inerte in mezzo al campo mi monta la rabbia (che tengo ovviamente per me). Non so come approcciare la cosa, non vorrei essere ne’ troppo accondiscendente in queste sue crisi da partita ne’ fargliela pesare troppo ma soprattutto vorrei vederlo giocare contento.

Una sola volta avevo promesso un gioco se avesse segnato la sua prima meta in partita e, complice un po’ di fortuna, così è stato. Poi il nulla. Non voglio ripetere la cosa perché non penso sia educativo ma mi chiedo se stimolarlo a fare meglio privandolo di qualcosa possa sortire un qualche effetto.

Altri compagni fanno così ed i genitori sono tranquilli, io non ce la faccio, è un mio limite lo so ma soprattutto vorrei vederlo contento.

Grazie


RISPOSTA


Gentile Genitore,

inizio sottolineando che, a mio avviso, per un bambino di 5 anni lo sport deve essere principalmente divertimento: deve essere un momento di felicità e di svago. Dico questo perché le riflessioni che ha scritto sono sì corrette ma secondo me precoci per l'età di suo figlio. A 5 anni è normale avere paura dello scontro, non volere la palla in momenti difficili e avere atteggiamenti diversi in partita e allenamento. Non è necessario anticipare niente o volere che cresca prima del tempo: è giovanissimo e ha davanti tanti anni per diventare grintoso, partecipe e determinato. Il mio consiglio è quello di continuare a spronarlo all'impegno e al divertimento, magari enfatizzando tutto ciò che fa di positivo in partita in modo da legare quei momenti ad emozioni positive condivise dalla famiglia. Certo che si possono dare premi e punizioni ma a mio avviso potrebbe allontanarlo dai veri valori valori dello sport: deve impegnarsi nel gioco perché gli piace, per migliorare, per vincere e non per ottenere dei premi esterni o per riavere qualcosa. Se il rugby gli piace davvero crescerà e migliorerà ogni anno di più. Ha iniziato piangendo e ora si diverte: in un anno qualcosa è già cambiato, lasciamogli il tempo di maturare sempre più.


Spero di essere stato utile

Dr Paolo Peluchetti

DOMANDA

Buonasera dottore , mio figlio ha 5 anni, 2 anni fa ha cominciato nuoto, ma dopo 3 mesi ha smesso piangeva nn voleva andarci. Quest anno calcio, i primi tre mesi contento euforico dopo ha smesso .oggi abbiamo provato con il basket nn è voluto nemmeno entrare in campo. É un po timido e credo che sia questo il problema nn credo sia pigro cosa devo fare? Nn voglio forzarlo ma lo invoglio sempre perche vorrei entusiasmarlo un po'. Nn so cm comportarmi. Attendo una sua risposta grezie mille

RISPOSTA

Gentile genitore,

mi arriva dalle sue parole da un lato la voglia di entusiasmare suo figlio nell’intraprendere un’attività sportiva, dall’altra però mi chiedo se le scelte rispetto a questo siano state condivise col bambino stesso. Alla sua età è importante possa sperimentare la parte ludica, di divertimento dello sport, aspetto fondamentale per continuare a portare avanti la motivazione. Avrei bisogno di ulteriori elementi per capire anche ciò che lo ha portato a smettere con uno sport e iniziarne un altro. Ad ogni modo, ciò che sento di dirle è di condividere con lui, parlare apertamente di come si sente nel fare uno sport piuttosto che un altro perché è giusto a quell’età sperimentarsi per conoscere attività diverse e conoscersi in degli aspetti nuovi, ma è importante anche darsi uno spazio di condivisione. Secondo la teoria dell’arrangiamento, ogni situazione nuova implica un doversi riadattare in base al proprio vissuto e alla situazione, quindi anche suo figlio deve avere anche il tempo, in base ai suoi tempi, di capire come si sente e cosa lo fa stare meglio e il suo compito da genitore è si di spronarlo, ma ancora prima di supportarlo nel capire come si sente, le sue emozioni e anche cosa gli piace fare, in modo da direzionarlo in quel che gli permetterebbe di esprimersi al meglio. Del resto, anche lo sport, in generale, non deve essere un’imposizione ma una scelta e se suo figlio magari ha una predisposizione per altre attività, è bene assecondarlo, supportarlo in questo senso.

Cordiali saluti,

Dott.ssa Laura Camastra

DOMANDA

Buonasera sono una ragazza di 32 anni... Gioco a basket da 25 anni!!
Sono sempre stata una delle migliori ...Infatti nei ultimi anni sono andata a fare all star game!!!Nel corso della mia carriera sono stata ferma per due gravidanze quindi la voglia di ritornare sul campo era tanta!!!
Adesso gioco in B ma non riesco a capire cosa mi stia succedendo!!!
Nn riesco più a giocare con la grinta e la determinazione di un tempo (anche solo dell'anno scorso)!!
Il nostro allenatore non incita  le ragazze e si focalizza sempre sulle stesse!!!
Magari è un mio problema boh....
Grazie


RISPOSTA

Buongiorno, grazie per averci scritto.

Da ciò che leggo, rispetto ad una minore grinta e determinazione che sente, mi viene sembra di capire sia associata ad una diminuzione nella motivazione, una spinta minore che lei sente nel tornare in gioco. Avrei bisogno di ulteriori elementi per capire le dinamiche che vive adesso nel suo gruppo squadra ad esempio, anche se mi sembra che lei attribuisca questo cambiamento nell’atteggiamento dell’allenatore. Mi sento di dirle che, ad ogni modo, la crescita personale, le esperienze di vita, possono cambiare il proprio modo personale di vivere lo sport, il gruppo squadra, fattore che incide anche nella motivazione allo sport stesso, riadattando in tal senso gli obiettivi personali. Mi verrebbe da chiederle: cosa rappresenta adesso lo sport per lei?Quanto incide nella sua motivazione il risultato della performance o ad esempio avere un ruolo cruciale nella squadra stessa? Quanto è importante il riconoscimento e il clima che percepisce nel contesto squadra? Mi chiedo, inoltre,se ha cercato un confronto con le sue compagne ma, soprattutto in questo caso, col suo allenatore. Avere dubbi e non comunicarli, crea ulteriori incomprensioni, mentre il confronto è alla base della comunicazione, fondamentale in ogni relazione e in ogni contesto e potrebbe aiutarla a chiarirsi. Nella speranza di esserle stata utile, le porgo i miei cordiali saluti.

Dott.ssa Laura Camastra

DOMANDA

Buon giorno sono mamma di una bimba di 5 anni.1/2...che da tre anni fa ginnastica ritmica...è bravissima ed ha una dote evidente...infatti quest' anno dovrebbe fare le gare....da un periodo a questa parte non vuole più andare. ..ma non me l'ha mai detto.....Fa i capricci....cosa mi consigliate....deve smettere  o insisto...?


RISPOSTA


Gentile Signora,

la ringrazio per averci scritto. Dalle sue parole mi sembra di capire che la dote di sua figlia sia stata la spinta nel decidere di farla partecipare alle gare e che, probabilmente, proprio in previsione di questo, sua figlia abbia manifestato la sua opposizione verso la ginnastica artistica. Mi verrebbe da chiederle se ha domandato esplicitamente a lei il motivo per cui non vuole più andarci, come le ha giustificato i suoi capricci. In genere a quell’età, per i bambini è fondamentale l’aspetto ludico nello sport, rispetto a quello agonistico, per questo è importante anche che le persone che stanno vicino a sua figlia, le rimandino questo concetto a. Ad esempio sarebbe importante chiederle come va, come si sente quando fa questo sport, se vuole partecipare alle gare e soprattutto, se si diverte nel farlo. A quell’età bisogna lasciare il tempo ai bambini di crescere e di dargli la possibilità di scegliere liberamente. Spesso forzandoli si ottiene l’effetto contrario, portando il bambino ad allontanarsi da quello sport; del resto, chi meglio del bambino stesso sa quali sono i suoi bisogni e suoi desideri al momento?! Le consiglio di parlare con sua figlia, sostenendola nella scelta che ne verrà; già il solo fatto di comunicare, rende il bambino più consapevole delle emozioni che prova rispetto a quella situazione.

Nella speranza di esserle stata utile, le porgo i miei cordiali saluti.


Dott.ssa Laura Camastra   

DOMANDA



Salve sono una mamma di una bambina di 10 anni pratica Danza dall ' età di 4 anni e mezzo a parte un episodio di qualche anno fa dove voleva smettere x fare altro ( rirmica ) xche si annoiava.. poi parlando con la maestra trovò  la soluzione  spostandola nel corso più avanti  ha ripreso entusiasmo  fino a l anno scorso e sempre andata volentieri anzi ha voluto frequentare anche Altri corsi Misicol e moderno .ma da quest anno ha iniziatO a dire di volere lasciare. Ho provato a capire il motivo un Po i giorni sono stati messi di fila merc.giov.e venerdì e ho capito che a lei questo pesa, in più ha una  o due volte lezione con  una maestra che a lei non piace molto.(piu severa forse )  lei mi dice che si annoia che fa le stesse cose. Ho riparlato o con l insegnante e lei dice che può capitare che la devo sostenere e che è importante fare questo. Non capisco xo
Non so come reagire ,insistere non Mi va xò mi  dispiace molto che lasci .   ballare gli piace !! 
Forse e finita la motivazione ? Quindi deve cambiare strada ? opp.ha bisogno di essere appoggiata e quindi un Po forzata?
E così dall'inizio dell'anno accademico va con Poco entusiasmo e dice che è stanca...
Come la posso aiutare?
Ringrazio anticipatamente per il consiglio. ..


RISPOSTA

Salve signora,

ringrazio lei per averi scritto. Mi sembra ci capire dalle sue parole che non è la prima volta che sua figlia esprime il desiderio di lasciare questo sport; sarebbe utile avere altre informazioni su coma sia stata gestita già questa situazione precedente (ad esempio se ha provato un altro sport, se invece è stata solo una cosa passeggera). Sarebbe importante parlare chiaramente con la bambina, chiederle come si sente quando balla, capire cosa la spinge ora a lasciare. Può capitare di perdere la motivazione per svariati motivi, ma forzarla potrebbe farla allontanare anche di più dalla danza, potrebbe invece proporle di provare un altro genere di ballo o, perché no, magari anche un altro sport, sarà poi la bambina a scegliere dove si sente meglio. In ogni caso la sostenga, senza forzarla.

Con l'augurio di esserle stata utile le porgo un caro saluto

Dott.ssa Laura Camastra

DOMANDA

Buongiorno,

sono il papà di una ragazzina di 12 anni, che da 5 calca i campi di pallavolo. 

Negli ultimi 12 - 18 mesi, nella società che frequenta da quando ha iniziato a giocare, c'è stata un'escalation di defezioni a seguito della quale il gruppo coeso che si era venuto a formare è andato via via sgretolandosi, fino a ridurre le superstiti a pochissime ragazze, a cui sono subentrate che hanno iniziato a giocare in quel periodo. Tutto ciò è derivante sia da decisioni discutibili della parte societaria, sia dal volere di alcuni genitori ad andare via.

In tutto questo, nonostante risultati sempre più scarsi, mia figlia ha mantenuto gioia nel giocare e nello stare con le altre ragazze, con alcune delle quali ha costruito un rapporto più stretto rispetto ad altre, come succede di solito.

Personalmente ho sempre ritenuto la parte ludica preponderante rispetto al mero risultato sportivo, anche se riconosco che quest'ultima a questa età inizia ad essere una componente sempre più rilevante rispetto ai gruppi più piccoli. Il gruppo attuale è molto molto carente dal punto di vista tecnico, con la concreta possibilità non solo di prendere batoste pesanti (quello è il lato che mi interessa meno), ma soprattutto di impedire a lei e le poche altre più avanti tecnicamente di giocare ad armi pari con gli altri.

Siccome non vorrei che, per colpa di decisioni altrui che hanno minato la squadra a cui mia figlia appartiene, possa subentrare uno scoramento tale da indurla a considerare di non giocare più nel futuro più prossimo, sto prendendo accordi con società limitrofe per farle fare quantomeno un paio di allenamenti di prova altrove, in modo da permetterle di vedere coach, ragazze e metodi a cui non è abituata e prospettarle la possibilità di trovare nuovi stimoli. 

In chiusura, voglio chiarire che pur ritenendo mia figlia abbastanza brava da poter proseguire nel mondo della pallavolo, non ho l'ambizione di vederla a certi livelli. La mia unica ambizione è vederla giocare ed essere contente di quello che fa e con chi lo fa. 

Ovviamente lei sarà coinvolta nella decisione finale, visto che sarà lei a cambiare se se la sentirà o restare con le amiche. Pretendo forse troppo da una bambina di 12 anni?

Grazie intanto 

V

 RISPOSTA

 Gentile papà,

avere delle aspettative per un figlio rientra nel ruolo di un genitore, nei limiti del fatto che questo non vada oltre il desiderio di sua figlia stessa. Alla sua età si va via via sempre più verso una formazione tecniche, i ragazzi apprendono in genere tecniche e metodologie sempre più specifiche, ma la cosa più importante è capire la motivazione reale di sua figlia. A lei cosa interessa? Avere sempre più competenze tecniche? Le pesa restare sempre allo stesso livello? Ne parli apertamente con lei valutando i pro e i contro rispetto alla possibilità di cambiare squadra e società per avere una preparazione migliore. Come dice la teoria dell’arrangiamento ogni situazione nuova implica un riadattamento al cambiamento rispetto al vissuto e alla situazione stessa, quindi in previsione di questo, valutate insieme questa possibilità.

Ne parli apertamente con lei rispetto alle sue aspettative in questo sport, i suoi desideri e cosa la fa stare bene, del resto chi meglio di lei può saperlo? E in ogni caso la supporti nella scelta che farà.

Nella speranza di esserle stata utile le porgo cordiali saluti.

Dott.ssa Laura Camastra

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